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LA VASCOLARIZZAZIONE POST REFEED

Come sempre accade nel corpo umano, quando si cerca di trovare un unico responsabile ad un meccanismo fisiologico si rischia di sbagliare. Però è indubbio che possono esserci per talune situazioni, fattori predominanti e fattori secondari. Bene, questo scritto nasce per esplorare quelli che sono i processi chimici che sono alla base del controllo della vasodilatazione. Perché questo. Noto come in molti osservano e si compiacciono, della grande vasodiltazione post prandiale, specie dopo ad esempio un refeeding. Bene, come sempre, ad un effetto visibile corrisponde una spiegazione ragionevole.

I patwhays e i fattori alla base della biodisponibilità e funzionalità dell’eNOS, l’enzima che catalizza la formazione di ossido nitrico, sono davvero tanti. Nonostante questo però, tutti gli ormoni e i relativi recettori coinvolti  sembrano agire attraverso due percorsi principali :

attraverso la fosforilazione dell’eNOS a livello della serina 1177, con conseguente aumento dell’attività enzimatica. Il meccanismo che porta alla fosforilazione di eNOS dipende dall’attivazione del pathway della fosfoinositide 3 chinasi proteina chinasi B (PI-3 chinasi / Akt).

Attraverso aumento dell’espressione genica che coinvolge i fattori di trascrizione e traduzione dell’ mRNA. Questo meccanismo genomico ha quindi generalmente una più lenta insorgenza e maggiore durata.

 

Cattura 2

L’immagine mostra esattamente quanto detto in riferimento come esempio agli estrogeni che sono uno dei fattori che intervengono nell’induzione di eNOS. L’estrogeno E2 si lega ai suoi recettori  α o β (ERα / β) in due posizioni: membrana o citosol. Il legame di E2 con il recettori di membrana membrana attiva il percorso della fosfoinositide-3-chinasi/proteina chinasi B (PI3 K / AkT) che porta alla fosforilazione di eNOS, ne aumenta l’attività con produzione finale di NO. Il legame di E2 al recettore citosolico ERα / β invece, porta alla traslocazione del recettore nel nucleo. Qui il recettore si lega a elementi co-regolatori di risposta del DNA sul gene eNOS e avvia la trascrizione aumentando la produzione di mRNA eNOS. Il mRNA viene quindi tradotto dal ribosoma per aumentare la produzione di proteine eNOS. Questo esempio per gli estrogeni è il meccanismo che coinvolge tutti gli altri fattori ormonali.

Prendiamone ora in considerazione due. Quelli maggiormente tirati in ballo quando parliamo di vasodilatazione specie in riferimento al bodybuilding.

 

 

Cortisolo

L’eccesso di cortisolo negli esseri umani provoca l’ipertensione, attribuibile in parte alla ritenzione di sodio, ma in parte mediato da effetti inibitori su eNOS.
I glucocorticoidi diminuiscono la produzione di NO endoteliale diminuendo la trascrizione del gene eNOS e diminuendo la biodisponibilità di NO attraverso l’aumento di specie reattive dell’ossigeno (ROS), mitocondriale, NAD (P) H ossidasi e xantina ossidasi,attraverso la riduzione della sintesi di tetraidrobiopterina (cofattore richiesto per l’attività dell’enzima eNOS),riducendo il trasporto di membrana di l-arginina e diminuendo la mobilizzazione intracellulare di calcio indotto da agonisti.

L’insulina

L’insulina ha la possibilità fisiologica di legarsi a due recettori distinti: il recettore dell’insulina (IR) e il relativo fattore di crescita 1 (IGF-1). Entrambi i recettori sono delle tirosin-chinasi che vengono attivate dal ligando stesso. Le IRs sono espresse sulla superficie cellulare delle cellule endoteliali umane, così come i recettori IGF-1.
L’insulina come sappiamo regola l’omeostasi del glucosio e lo fa attraverso i suoi recettori IR. A questo punto si attivano due vie principali: la PI3-chinasi come detto, e la MAPK-chinasi. La PI3-chinasi / Akt è il pathway responsabile della regolazione di eNOS. Quindi ovviamente non deve sorprendere che l’insulina abbia la capacità di aumentare la produzione di Ossido Nitrico. E in effetti sappiamo come la resistenza insulinica sia un importante fattore di rischio per la malattia cardiovascolare, e le disfunzioni endoteliali siano spesso rinvenute in pazienti con malattie metaboliche. La resistenza all’insulina sarebbe infatti associata ad una diminuzione della fosforilazione di eNOS e alla conseguente diminuzione della produzione di NO endoteliale.
Altri meccanismi associati alla resistenza insulinica, come i segnali pro-infiammatori dovuta a glucotossicità e lipotossicità, possono contribuire alla disfunzione endoteliale. Da ciò si evince come i meccanismi che legano la resistenza all’ormone insulina e la disfunzione endoteliale siano multifattoriali. poiché la regolazione di NO è solo una delle molteplici vie cellulari che contribuiscono al complesso legame tra malattia metabolica e cardiovascolare.

In sintesi, l’insulina favorisce la funzione endoteliale, causa vasodilatazione e aumento del flusso sanguigno, specificamente attivando il percorso PI-3 chinasi / Akt che porta alla fosforilazione eNOS e aumenta l’attività eNOS. L’insulina promuove anche un aumento della mRNA e della proteina eNOS. Al contrario, la resistenza all’insulina comporta una diminuzione della funzione eNOS e la perdita degli effetti protettivi vascolari dell’NO. Altre considerazioni
 

Ovviamente queste brevissime righe non possono essere esaustive nella spiegazione di un meccanismo davvero molto più complesso e complicato. I cambiamenti nella produzione di NO rappresentano il culmine di molteplici effetti ormonali attraverso meccanismi genomici e non genomici. Non abbiamo parlato ad esempio della renina, della tiroide ( anche se per quest’ultima il legame risulta ancora incerto), del testosterone ecc ecc..Però possono fari riflettere se osserviamo il nostro corpo in risposta ad un pasto fortemente glucidico. Solitamente una buona vascolarizzazione è presente in individui perfettamente in fisiologia, con un buon controllo insulinico, bassi livelli di adipociti e buone/notevoli masse muscolari. Indice del fatto che il meccanismo mediato dall’insulina sulla produzione di NO potrebbe funzionare perfettamente. Nei casi di sovrallenamento, aumentata produzione cronica di cortisolo, resistenza insulinica, mal gestione dei refeed la vascolarizzazione è assente e l’aspetto e vuoto e liscio.

Quindi come sapete già, l’osservazione del corpo può darci dei feedback importanti su ciò che sta avvenendo all’interno permettendoci di adottare il più delle volte delle opportune contromisure.

 

Cattura 3

LA SLOW CARBS: L’ANELLO MANCANTE TRA DIETE LOW CARBS E HIGH CARBS

Oggi nel panorama nutrizionale appartenente agli appassionati sportivi di fitness e bodybuilding si assiste ad una divisione netta tra i sostenitori delle diete a bassi carboidrati (low carbs e high fats) e i sostenitori al contrario delle diete ad alto tenore glucidico ( high carbs e low fats). Non voglio entrare nel merito della diatriba, in quanto se, giungere all’obiettivo è l’unica cosa che consideriamo e che per noi conta, allora entrambi gli approcci possono essere validi ( più o meno). Come a dire, se da Roma l’unica cosa che mi interessa è arrivare a Milano, io posso passare anche per Palermo, l’importante è che io arrivi a Milano. A voi le ovvie conclusioni.

Ragionando in ottica diversa, fatta di, visione a 360° dell’atleta, fatta di Sostenibilità, le due strategie potrebbero essere differenti e non poco sotto molti punti di vista. Ma ciò esula dagli obiettivi dello scritto.

Vorrei invece portare alla vostra attenzione al cosa non si dovrebbe mai fare nel passare dall’una all’altra fazione. Ovvero, e qui riprendo uno splendido esempio di Riccardo Grandi che lui stesso riporta nei suoi seminari, il pericolo sta proprio quando dopo un lungo periodo di dieta povera di carboidrati decidiamo di passare ad una ad alto tenore in carbs, senza sapere come e cosa fare. Immaginiamo la nostra capacità metabolica come un recipiente, che inizialmente era molto grande, ma che dopo un lungo periodo di privazione da carboidrati, è diventato una misera bottiglietta. Ora, se noi ci apprestiamo a voler riempire quella bottiglietta con il solito secchio che tanto ci era andato bene quando dovevamo riempire il grande recipiente, il risultato quale sarà? Che si sicuramente dell’acqua arriverà a riempire anche la bottiglietta ma indovinate? Una grande quantità sarà straboccata con le conseguenze disastrose che immaginate nel nostro organismo.

Ma vediamo di farci chiarezza da un punto di vista organico.

Partiamo dalla definizione di concetti che possono tornarci utili.

Che cosa usa il nostro organismo per trasportare glucosio attraverso le membrane? Usa particolari trasportatori definiti GLUT ovvero glucose trasporter. Ve ne sono almeno sei tipi diversi e sebbene siano simili strutturalmente hanno proprietà differenti e funzioni diversificate.

Ognuno di questi Glut è numerato in ordine crescente e svolge un ruolo preciso in organi precisi, cioè è deputato al trasporto di glucosio, fruttosio mannosio o galattosio in specifici organi o tessuti.

Quello che interessa noi per l’argomento dell’articolo è però il GLUT 2 APICALE implicato nel trasporto intestinale dei glucidi.

Il trasporto intestinale dei glucidi infatti consta di due componenti, una è quella classica dell’assorbimento attivo, mediata dal co-trasporto con il sodio ( sglt) mentre la seconda è una componente diffusiva. Quest’ultima è proprio mediata dalla presenza TEMPORANEA di un trasportatore,Il glut 2 nella membrana apicale, per questo chiamato glut 2 apicale. Questo è un sistema fondamentale di trasporto che il nostro organismo mette in moto quando si presentano zuccheri in concentrazione elevata, tipicamente quindi dopo un pasto. Il glut 2 risiede nella membrana baso-laterale ma in pochi minuti può essere spostato alla membrana apicale dalle cellule del digiuno in risposta proprio a concentrazioni elevate di glucosio. Ovviamente il glut 2 è comandato da diversi meccanismi che funzionano a lungo e breve termine, tra questi il Ca2+,l’attivazione intestinale dei recettori per il sapore dolce sensibile agli zuccheri naturali, dolcificanti artificiale e all’insulina. Abbiamo più volte detto come diete a bassissimo tenore glucidico protratte per lungo,lunghissimo tempo possano indurre stati di insulino resistenza. Ciò, e qui viene il nocciolo della questione, in termini di glut 2 apicale si riflette con una presenza PERMANENTE del glut 2 in posizione apicale,tipica proprio dello stato di resistenza insulinica indotta da fruttosio e grassi. Nel soggetto normale infatti il glut 2 sarebbe localizzato solo a livello baso laterale ma capace di trasferimento secondo le necessità dell’organismo. Come notiamo dall’immagine una dieta ricca in grassi (cosi come una ricca in zuccheri)  protratta per lungo tempo, rischiano di peggiorare la nostra sensibilità insulinica fino ad instaurare insulino resistenza arrivando  ad avere un trasferimento permanente dei glut 2 sulla membrana apicale degli enterociti il che fa peggiorare il controllo glicemico, facendo diventare tali trasportatori incapaci di assolvere alla loro funzione.

slow carbs 1

Riporto una slide di Asker Jeukendrup il quale afferma in sintesi come anche i nostri Glut vadano allenati e tenuti in allenamento.

slow carbs 2

Siccome questa situazione si è visto essere ripristinabile, anche il Glut 2 apicali possono tornare ad un corretto funzionamento. Quale strategia adottare dopo un periodo lungo di privazione glucidica? Quella che abbiamo più volte visto: incrementare gradualmente il vostro introito glucidico di settimana in settimana e monitorarvi. Se vedete che accumulate, vi appannate faticate a gestirli, rimanete per una o due settimane fermi con quell’introito fino a che il corpo non imparerà a gestirli e solo all’ora continuerete con l’aumento fino all’obiettivo che vi siete prefissati. Ripristinando un corretto metabolismo glucidico e una corretta affinità insulinica anche i vostri glut 2 apicali torneranno a funzionare correttamente.

 

 

Fonti:

Nutrient-timing e qualità del sonno. Quando mangiare, cosa mangiare e per chi davvero conta.

Lavorando quotidianamente con amatori,atleti (di differenti discipline) e persone normali, noto come essi abbiano bisogno di attenzioni e cure del dettaglio completamente differenti. Per alcuni l’ipertecnicismo oltre che superfluo risulta dannoso e controproducente perchè altamente stressante, per altri l’iper-monitoraggio è quasi un esigenza per avere piena consapevolezza del percorso che si sta facendo.

Bene, in tutto questo catalogare una delle cose che mi sono sempre chiesto è ..ma davvero quanto conterebbe per una persona il QUANDO si mangia? Cosa andrebbe a cambiare? Si me lo sono chiesto io in prima persona,perchè a mia volta i miei clienti lo domandano a me.

E allora sono andato a spluciare la letteratura scientifica in merito e come ribadisce Ivan in questo splendido articolo che riassume tutto http://www.projectinvictus.it/nutrient-timing/ , beh a meno che non si rientri nelle categorie di persone descritte da quella magnifica slide di Aragon ( che trovate se aprite il link) effettivamente il timing sembra non contare un gran che.

Eppure qualcosa mancava, non ero soddisfatto di tutto ciò perchè l’esperienza sul campo mi diceva che in molti casi la modulazione dei nutrienti poteva avere dei vantaggi. Quindi ho esulato dalla mia ricerca il focus sull’obiettivo prestazionale ed estetico e sono andato a vedere come la nutrizione potesse inficiare o migliorare uno dei parametri piu importanti a mio avviso per la salute generale e globale della persona , atleta,sedentario o amatore che sia.

IL SONNO.

Noi sappiamo tutti che l’optimum della nostra condizione l’abbiamo quando i 3 punti cardine alimentazione ,allenamento e riposo disegnano un triangolo equilatero. Riposare male o non riposare ( inteso come sonno ristoratore) può compromettere sia i risultati del nostro percorso,sia giocare un ruolo nella genesi di scompensi ormonali,tiroidei, del metabolismo del glucosio,metabolismo lipidico,prestazioni di forza ecc…ecc…

Ecco allora come fare quando vi accorgete che il vostro sonno non è dei migliori? quando vi rendete conto dei frequenti risvegli notturni? Quando la sera faticate ad addormentarvi ma la mattina siete dei bradipi?

Può venirci incontro l’alimentazione? Secondo questa review si https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4008810/

Una strategia che di frequente adotto, potrebbe essere quella di spostare i carboidrati come pasta riso pane e patate, dal pranzo,come il 90% delle persone sono solite fare, a cena. Questi vi aiuteranno tramite produzione indiretta di melatonina a dormire meglio. Provare per credere! Se siete poi delle persone che si allenano 3 volte la settimana ma che fanno un lavoro d’ufficio quindi sedentario il consiglio è quello di limitare l’uso dei glucidi nella pausa pranzo ma di aumentare quello di grassi e proteine. Questi stimolando l’adrenalina, ormone iperglicemizzante,potrebbero evitarvi il colpo di sonno post-prandiale aumentando lucidità e focus mentale.

Quindi come vedete e come potete leggere se ne avrete voglia dal link sopra, la nutrizione che poco conta in termini prestazionali nell’utente medio può fare invece un enorme differenza nel migliorarvi la qualità della vita. Ricordiamo che la persona va vista nella sua interezza e globalità. La persona è prima una persona e poi uno sportivo che vuol far crescere i muscoli o correre 10 km. Il sonno fa parte del vostro benessere generale.

Per riassumere, toglietevi dalla testa le cagate della finestra anabolica se siete amatori qualsiasi ( se siete agonisti di discipline di endurance no magari) e se avete problemi a prendere sonno, provate a spostare il grosso dei vostri carboidrati la sera a cena! Ma dopo le 5 del pomeriggio non mi faranno ingrassare? La soluzione sarà quella di cenare alle 16 e 59 che problema c’è! e poi tutti a nanna alle 17 e 01 cosi resteremo secchi a vita!!

 

Lascio qui anche un mio suggerimento che non vuole essere verità assoluta, esistono lo so pareri discordanti e differenti strategie ugualmente valide. Questo è un’idea..

Per chi non ha problemi di questo tipo uno schema base potrebbe essere

Allenamento metà mattina

Colazione: Carbo amidacei + pro+ pochi o nulli grassi

Allenamento

Pranzo: Carbo amidacei + pro+ pochi o nulli grassi

Spuntino: Carbo amidacei/fibrosi + pro + grassi

Cena: Carbo fibrosi + pro + grassi

 

Allenamento pomeriggio

Colazione Carbo fibrosi + pro + grassi

Spuntino Carbo amidacei/fibrosi + pro + grassi

Pranzo Carbo amidacei + pro + grassi pochi

Allenamento

Cena Carbo amidacei + pro + pochi o nulli grassi

 

Ora insultatemi…

ALLENIAMO IL MUSCOLO O IL MOVIMENTO?

Questa è una gran bella domanda. Ma la risposta non è da meno. Sapete perchè? Perchè la risposta è: DIPENDE!

Dipende da cosa? Dipende dal motivo per cui ti alleni!!!

Dico , generalizzando,che in tutti gli sport ove è richiesta una performance atletica, l’allenamento verte al miglioramento del gesto specifico per la disciplina, quindi tutto ciò che farò durante la mia sessione di training dovrà avere come obiettivo il miglioramento del mio massimo in gara. In questo cosa l’allenamentp del movimento è requisito fondamentale

Negli sport estetici come il bodybuilding, la ricerca si concentra nel massimo reclutamento e massimo danno muscolare. Il mio obiettivo sarà colpire il muscolo target da ogni angolazioni in modo tale che io possa provocare una rottura delle strutture cellulari che nel momento in cui si ripareranno lo faranno diventando più forti, provocando infine un miglioramente per cosi dire “estetico”. Quindi il movimento diventa secondario, cioè si modifica in virtù delle mie necessità.

Questa è fondamentale saperlo.

Troppe volte noto come le persone in palestra si preoccupino di terminare il prima possibile il loro 3*12, senza sapere per cosa lo stanno facendo e senza avere la minima idea di quale muscolo è interessato al loro movimento.

Risultati sul medio lungo termine? Nessuno.

Ma non basta nemmeno sapere come eseguire quel 3*12, anche se sarebbe un buon punto di partenza. Perchè non basta? Perchè ogni individuo è strutturalmente diverso, ha struttra scheletrica diversa e ha strutture muscolari, tendidee e legamentose differenti. Quindi se il nostro obiettivo abbiamo detto è riuscire a colpire il tessuto muscolare, va da se che l’esercizio deve necessariamente essere persona-specifico. Questo non significa che eseguirli come da manuale del fitness sia sbagliato, ripeto per un neofita è già un valida punto di partenza, però occorre poi una dettagliata specializzazione. Ecco quindi che uno stesso esercizio come lo SQUAT, che nell’ambito della BRO-SCIENZA non dovrebbe mai mancare, oppure si dovrebbe fare in un solo e unico modo, assume invece decine di sfaccettature e modi differenti di essere svolto. Perchè? Ma non era vera la storia che le punte dei piedi non devono superare le ginocchia? No! No semplicemente perchè siamo diversi, e nella diversità qualsiasi generalizzazione rischia di essere un errore.

 

Ma se io mi alleno per il Crossfit?? Bene, li rientriamo nella categoria degli sport in cui conta la performance! C’è una gara dove vince chi totalizza piu alzate o un numero stabilito di alzate ( valide) nel minor tempo possibile. Bene, mi allenerò sul gesto di quella alzata, per renderla valida, e per essere veloce nel farla, cosi che possa diventare per me un gesto relativamente semplice consentendomi di farne più possibile in un dato tempo. Si ma allora perchè quelli del Crossfit sono anche grossi? Si, vero ma non lavorano per quello, non è il loro obiettivo! E’ semplicemente un adattamento delle nostre strutture organiche all’allenamento con i sovraccarichi! Avete mai visto qualcuno che si alleni con i pesi e lo faccia con un minimo di senno, essere “piccolo” e poco muscoloso? No!! E’ un semplice risultato!

Ma anche un maratoneta, fa allenamenti con i pesi, ma con scopi diversi dal bodybuilder! Anzi per lui aumentare il volume delle masse muscolari potrebbe essere controproducente in gara!

Quindi se vogliamo ricapitolare e fare chiarezza, direi che in linea generale:

se vi allenate con scopi estetici, gli esercizi e i movimenti che eseguite dovranno essere scelti e modificati in base al muscolo che intendete colpire e non viceversa.

se vi allenate per un determinato sport, gli esercizi vanno scelti perchè siano propedeutici per la disciplina da voi praticata e di conseguenza l’attenzione va posta al miglioramento del gesto tecnico piuttosto che alla distruzione muscolare con lo scopo di aumentare i volumi.

Questo va tenuto sempre a mente, quando vi addentrate nella pratica dell’allenamento.

 

Quindi ora vi rifaccio la domanda….. ALLENIAMO IL MUSCOLO O IL MOVIMENTO?

CARNITINA E ACETIL L-CARNITINA

La CARNITINA è un composto aminoacidico che puo’ essere sintetizzato nel cervello, nel fegato o nel rene a partire da due aminoacidi lisina e metionina, in presenza però di livelli adeguati di vitamina  ed altre sostanze che fungono da substrato o cofattori.

La carnitina è immagazzinata prevalentemente nei tessuto muscolare cardiaco e scheletrico ed è contenuta in alimenti quali carni e derivati (organi interni), mentre non ne è riscontrata la presenza in proteine vegetali.

Qual è il suo ruolo?
La carnitina è estremamente importante nel metabolismo dei grassi in quanto permette il trasporto degli acidi grassi a catena lunga all’interno dei mitocondri ove, grazie ai processi energetici aerobici, viene prodotta energia sottoforma di ATP che ricordiamo essere la “moneta di scambio” che il nostro organismo utilizza per produrre energia.

Diversi studi hanno evidenziato come la carnitina giochi un importante ruolo nel metabolismo dei grassi e nella riduzione dei trigliceridi ematici; grazie all’assunzione di carnitina si osserva infatti una facilitazione nell’ossidazione dei trigliceridi con una conseguente riduzione nelle concentrazioni plasmatiche degli stessi, tanto da approvarne il suo utilizzo nella terapia di alcune malattie mitocondriali, nella cardiopatia ischemica, nell’infarto del miocardio, ecc.

Quali vantaggi dal suo utilizzo?
Si è osservato come l’attività fisica intensa e/o di durata determini un’ingente domanda metabolica di carnitina. In questo frangente l’assunzione esogena di carnitina può facilitare significativamente l’entrata degli acidi grassi nei mitocondri con un conseguente incremento dell’efficienza metabolica di utilizzazione dei lipidi come fonte per la produzione di atp traducendo il tutto in un incremento
della possibilità di bruciare grassi durante l’esecuzione di attività fisica.

In seguito all’assunzione esogena di carnitina si riscontrano minori livelli di lattato e tutto ciò comporterebbe un miglioramento della resistenza degli atleti durante sforzi prolungati ed una riduzione del dolore muscolare che mediamente segue un intenso esercizio fisico.
Un ulteriore vantaggio derivante dal suo utilizzo è dato dal fatto che la presenza di carnitina faciliterebbe il trasporto e l’utilizzazione degli aminoacidi ramificati, amplificandone le proprietà pro-energetiche ed anaboliche.
Come utilizzarla?
la carnitina può essere assunta in dosi oscillanti fra 500 mg/die e 2 g/die frazionate nell’arco della giornata o prima dell’allenamento.

L’ACETIL-L-CARNITINA è invece un estere acetilato dell’aminoacido l-carnitina prodotta a partire dalla l-carnitina e dall’acetil-CoA derivato dal processo di ß-ossidazione degli acidi grassi.
Una percentuale compresa fra 7,5% e 10,2% della carnitina totale presente nell’organismo si ritrova sottoforma di acetil l-carnitina che gioca un ruolo di fondamentale importanza nel processo di produzione di energia a partire dai lipidi.
Essa è naturalmente presente in molti organi fra cui il cervello ove favorisce il corretto metabolismo cellulare e trasmettitoriale.

Come agisce?
grazie alla presenza del gruppo acetilico, l’acetil-lcarnitina è in grado di oltrepassare la barriera ematoencefalica e raggiungere agevolmente il distretto cerebrale.Qui agisce a livello dei neurotrasmettitori, vale a dire quelle molecole che partecipano alla trasmissione dell’impulso nervoso.
Le proprietà della acetil l-carnitina sono state in primis evidenziate dalla ricerca medica che ne ha individuato alcuni indirizzi terapeutici di tipo prettamente clinico inserendola di fatto con successo in alcuni protocolli terapeutici per patologie quali il morbo di alzheimer, le neuropatie diabetiche, l’ischemia cerebrale, nonché per il miglioramento delle facoltà cognitive degenerate in seguito ad abuso cronico di alcool.

Alcune ricerche hanno attribuito alla acetil l-carnitina un ruolo attivo tanto nell’aumentare i livelli del fattore di crescita nervoso ngf (nerve growth factor), quanto nel migliorare la sensibilità dei neuroni allo stesso.
Quali vantaggi?

le possibili applicazioni dell’acetil-l-carnitina sono molteplici e rivestono molti ambiti, dagli integratori volti al miglioramento della funzionalità cerebrale, a quelli contro la depressione, fino a quelli rivolti agli sportivi.
Si è dimostrata particolarmente utile nel ritardare l’invecchiamento cerebrale (deficit di memoria e attenzione, stanchezza mentale, depressione).Con avanzare dell’età la quantità di acetil-l-carnitina cerebrale diminuisce significativamente e la sua integrazione sembra in grado di prevenire il naturale deterioramento cellulare che si verifica con l’invecchiamento. Ecco quindi che l’integrazione con tale sostanza è particolarmente indicata per le persone anziane.

Alcuni studi evidenziano come l’acetil l-carnitina favorisca l’utilizzo da parte del cervello di fonti di energia alternative al glucosio, quali substrati lipidici o corpi chetonici rivelando la sua utilità di utilizzo durante protocolli alimentari iperproteici-iperlipidici-ipoglucidici (dieta metabolica, body opus diet, dieta atkins ecc.)

Alcuni studi riconoscono all’acetil l-carnitina proprietà antiossidanti, evidenziandone una implicazione positiva nel recupero post allenamento.
Un’ipotesi d’uso della acetil l-carnitina è legata alla sua presunta capacità di innalzare la produzione endocrina di testosterone e di ridurre l’azione del cortisolo limitandone il legame con i rispettivi recettori. In studi condotti su ratti sottoposti a stress cronico l’acetil l-carnitina si è infatti dimostrata efficace nella prevenzione della riduzione del rilascio di gonadotropine (ormoni prodotti dall’ipofisi anteriore e stimolanti l’attività delle gonadi) e di testosterone.

Ovviamente restano ipotesi da prendere come tali.
Come utilizzarla?
la acetil l-carnitina può essere assunta in dosi oscillanti fra 500 mg/die e 3 g/die frazionate nell’arco
della giornata o prima e dopo l’allenamento.