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SEROTONINA, STRESS E CARBOIDRATI

La serotonina , da tutti conosciuta come “ormone del buonumore”, è un neurotrasmettitore sintetizzato nei neuroni serotoninergici del sistema nervoso centrale, nonché nelle cellule enterocromaffini nell’apparato gastrointestinale, a partire dall’ amminoacido essenziale Triptofano.
Questo neurotrasmettitore è principalmente coinvolto nella regolazione dell’umore, come la denominazione popolare suggerisce.

La serotonina è coinvolta in numerosissime e importanti funzioni biologiche, molte delle quali ancora non del tutto ben chiarite;

La sua interazione con specifici recettori, dislocati in regioni diverse del nostro corpo, permette la regolazione di azioni molto diverse tra loro.

Tra la principali

  • La serotonina è precursore della melatonina, ormone prodotto dalla ghiandola pineale in risposta all’assenza di luce. Essa agendo sull’ipotalamo sincronizza e controlla il ritmo sonno-veglia. In condizioni di stress, la sua produzione cala e il sonno cattivo ne è elemento caratterizzante.
  • La serotonina interviene in maniera prepotente nel controllo dell’appetito. Essa infatti determina una precoce comparsa del senso di sazietà. Questo è uno degli aspetti chiavi che andremo a sviscerare in questo articolo.
  • Il sistema serotinonergico è implicato anche nel controllo del comportamento sessuale. Un basso livello di questo ormone è la causa principale dell’eiaculazione precoce.
  • la serotonina ha effetti inibitori sulla sensibilità al dolore e sulla temperatura corporea.
  • Un ruolo decisamente importante lo gioca regolando la motilità e le secrezioni intestinali. Abbiamo detto in precedenza come la serotonina sia prodotta anche cellule enterocromaffini dell’apparato gastrointestinale. Non è difficile quindi capire come la relazione tra Sistema nervoso enterico, la cui popolazione neuronale supera di gran lunga quella del sistema nervoso centrale, e appunto il SNC sia davvero realmente importante. Diarrea o al contrario stitichezza possono essere mediate da un eccesso nel primo caso e un difetto nel secondo di serotonina. Capiamo ora come lo stress che agisce a livello psicofisico abbia ripercussioni sulla motilità gastrica.

Questi sono solo alcuni degli effetti mediati dall’ormone della felicità, ma sono quelli che interessano a noi per la trattazione di questo articolo.

L’argomento centrale però resta lo stress.

Nella definizione di stress è forte la componente soggettiva. Capiamo bene che se interpretiamo lo stress come una situazione o un evento di fronte al quale ci vediamo sopraffatti e che supera le nostre capacità di difesa/reazione, tutto questo ha un enorme valenza soggettiva. Ognuno di noi risponde differentemente a situazioni simili. Lo stress è conseguentemente un aspetto individuale.

Bene, ma con la voglia di zuccheri come ci si lega.

Ci arrivo.

La serotonina in situazioni di stress si riduce in modo significativo. Aumenta il cortisolo, ormone di fondamentale importanza per la sopravvivenza dell’uomo, che è incaricato di rispondere a situazioni di stress. Come conseguenza la serotonina è il primo neurotrasmettitore ad essere colpito.

Quando non ingeriamo zuccheri,  la glicemia sale e abbiamo una stimolazione alla produzione di insulina dose dipendente. Questo ormone ha un ruolo permissivo e facilitante l’ingresso dei nutrienti nelle nostre cellule compresi ovviamente gli amminoacidi, con esclusione del triptofano. Dopo un pasto molto ricco in carboidrati, in risposta alla condizione di iperglicemia, si ha una massiva produzione insulinica e i livelli di triptofano nel sangue aumentano ( visto che gli altri calano essendo veicolati all’interno della cellula). Tutto ciò ne agevola il passaggio nel SNC rappresentando il punto chiave per la seguente produzione di serotonina! Attraverso un meccanismo a feedback negativo poi, il desidero di carboidrati cessa. Questo semplice meccanismo spiega perché in molti stati di malessere,depressione, disturbi e cali dell’umore si avverta un bisogno esasperato di zuccheri. Calano i livelli di triptofano, diminuisce la biosintesi di serotonina e di conseguenza avvertiamo un bisogno di zuccheri che in taluni casi sfocia anche in quello che viene definito CRAVING DA CARBOIDRATI! E da qui la ricerca compulsiva di junk food, di cibi buoni che possano rimandare ad un piacere in maniera immediata andando a ristabilire subito alti livelli di serotonina. Tipicamente questi cibi oltre ad alti livelli di zuccheri presentano anche una buona componente lipidica, quindi mediamente un’alta densità energetica. Questo in parte spiega la genesi successiva del sovrappeso o addirittura dell’obesità.

Lo stress genera anche da diete ipocaloriche protratte per lungo tempo, lo sappiamo. Bene, ciò non riduce solo i livelli di leptina, ma anche i livelli essenziali di triptofano in maniera significativa. Il metabolismo disturbato di questo aminoacido potrebbe influenzare la biosintesi di serotonina andando quindi ad aumentare la suscettibilità ai disturbi dell’umore e al desiderio di carboidrati, aumentando di netto la probabilità di cessazione dei programmi volti alla riduzione del peso.

Molte donne lamentano un calo dell’umore in prossimità del ciclo mestruale (depressione pre-mestruale). Indovinate? Bassi livelli di serotonina e conseguente bisogno di dolci e cioccolato (contiene e favorisce la produzione di serotonina oltre che di sostanze psicoattive).
Dopo un pasto ricco di proteine invece , la concentrazione di triptofano nel sangue aumenta sempre, senza però variare i livelli cerebrali di serotonina. Manca infatti quella massiccia spinta insulinica che permettendo l’ingresso degli altri amminoacidi nelle cellule, fa aumentare la concentrazione relativa di triptofano nel sangue. Ciò “impedisce” il passaggio del triptofano al cervello. Ecco perché l’assunzione di cibi ricchi in triptofano o l’assunzione di integratori di questo amminoacido non incrementano in modo significativo il livello di serotonina. Identica cosa dicasi per la somministrazione diretta di serotonina. Essa è decomposta prima che possa produrre il proprio effetto.

E l’attività sportiva? Ci aiuta? Ma non è uno stress?

Durante l’esercizio fisico i livelli di serotonina aumentano ( il che spiega l’effetto di benessere che tutti provano dopo l’attività motoria). Questo aumento fa diminuire la percezione della fatica. In oltre l’attività motoria è uno stimolo potente per ridurre o normalizzare i livelli di citochine pro-infiammatorie, le quali possono influenzare i livelli di triptofano. Ciò può essere di grande utilità in quelle persone che devono migliorare il proprio stato umorale.

Ma, e metto un ma grande come una casa, se l’esercizio è portato all’esasperazione o se non sappiamo riconoscere i segnali che il corpo ci manda, lo sport può ridurre i livelli di triptofano perché i meccanismi pro-infiammatori indotti dall’eccessivo esercizio, attivano un’enzima preposto alla degradazione dell’amminoacido portando a peggiorare la situazione di stanchessa e “depressione” in cui versa il nostro soggetto.

 

In conclusione capiamo come la regolazione e la gestione dello stress sia davvero parte fondamentale della vita quotidiana di ognuno di noi indipendentemente dal nostro ruolo di persone normali, sportivi amatoriali o atleti d’elite.

L’alimentazione e lo sport giocano un ruolo fondamentale in questo complesso meccanismo e molte volte ci aiutano a comprendere segnali di allarme che il nostro corpo ci manda.

 

 

 

FONTI:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27199566

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4864009/

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24139726

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8697046

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2197075

https://it.wikipedia.org/wiki/Melatonina

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27179987

STRESS OSSIDATIVO, RADICALI LIBERI E ANTIOSSIDANTI

Con la comparsa dell’ossigeno atmosferico sulla terra, diversi organismi hanno sviluppato meccanismi in grado di utilizzare questo gas per i processi metabolici. I radicali liberi dell’ossigeno, definiti ROS (specie reattive dell’ossigeno) sono molecole dotate di enorme instabilità e reattività con le altre molecole allo scopo di raggiungere un livello di equilibrio maggiore. Questo causa una reazione a catena visto che a loro volta, le molecole che reagiscono con i radicali liberi diventano instabili. Tale serie di reazioni può durare da frazioni di secondo ad alcune ore e può essere ridimensionata o arrestata solo dalla presenza degli antiossidanti. La formazione di radicali liberi è da considerarsi un processo fisiologico e un organismo sano è adeguatamente attrezzato per contrastarli mediante un sistema anti-radicali endogeno.

Le specie reattive dell’ossigeno sono suddivisibili in due categorie principali:

i radicali liberi, come il superossido (O2•) e il radicale ossidrilico (OH.·), e molecole non radicali, come il perossido d’idrogeno (H2O2).

Anione superossido O2-•

 Pur essendo un radicale libero la molecola non possiede un’elevata reattività in quanto non è in grado di attraversare la membrana mitocondriale, perché bloccato dalla carica negativa. La sua formazione avviene spontaneamente soprattutto nell’ambiente ricco di ossigeno in prossimità della membrana interna del mitocondrio. Due molecole di anione superossido reagiscono rapidamente a dare perossido di idrogeno e 2 ossigeni molecolare

Perossido di idrogeno H2O2

Pur non essendo particolarmente reattiva, riveste un ruolo importante per la sua capacità di penetrare velocemente attraverso le membrane biologiche e riveste un ruolo fondamentale come intermedio di reazione nella sintesi di ROS altamente reattivi, soprattutto il radicale idrossilico.

 Radicale ossidrile OH –

 La sua estrema reattività verso le biomolecole e la mancanza di meccanismi di inattivazione endogena lo rendono la specie reattiva dell’ossigeno in grado di generare i maggiori danni nelle macromolecole cellulari: proteine, acidi nucleici e soprattutto gli acidi grassi poliinsaturi dei fosfolipidi di membrana.

I mitocondri, sono considerati la maggiore fonte di produzione cellulare di ROS: si stima che il 2% di ossigeno consumato reagisce con elettroni che sfuggono dalla catena respiratoria producendo ione superossido, successivamente convertito in perossido d’idrogeno. Un eccesso di ROS causa uno stress ossidativo che porta all’attivazione dei molti sistemi antiossidanti cellulari (es. superossido dismutasi, catalasi, il sistema del glutatione, tioredossina) al fine di evitare il danneggiamento del DNA, delle proteine e dei lipidi. Elevati livelli di ROS sono potenzialmente tossici per la cellula, poiché possono provocare danni molecolari irreversibili, quali l’ossidazione di polifenoli, catecolammine e tioli, l’inattivazione di enzimi, l’ossidazione di proteine, DNA e lipidi di membrana. Tali alterazioni sono spesso alla base di stati patologici come la senescenza, l’aterosclerosi, la neurodegenerazione, il diabete, l’ischemia ed il cancro. Negli ultimi anni si è scoperto che le ROS hanno anche un ruolo fisiologico all’interno della cellula attivando proteine come i recettori tirosin-chinasici, le MAP chinasi, fattori di trascrizione. Classicamente i ROS vengono considerati infatti molecole in grado di scatenare processi di morte cellulare,tuttavia, negli ultimi anni, è emerso che i ROS, quando prodotti a basse concentrazioni, possono fungere da mediatori o da secondi messaggeri. I ROS possono infatti comunicare, se non addirittura far parte, di percorsi di trasduzione del segnale conosciuti e ben definiti. Tutto ciò potrebbe suggerire un ruolo di effettori diretti per i ROS, per cui le interazioni con determinate “proteine bersaglio redox-sensibili” si traducono in alterazioni della struttura e della funzione. Un esempio è rappresentato dal fattore tumorale p53 capace di indurre apoptosi in seguito a stress cellulare. E’stato dimostrato che il p53 è un fattore trascrizionale la cui attività e’ regolata dall’ambiente ossido-reduttivo intracellulare mediante modificazione dello stato redox di specifiche cisteine.

Il sistema nervoso centrale è caratterizzato da un continuo flusso di ROS generato durante le reazioni neurochimiche, inoltre, è altamente aerobico, contiene un alto livello di substrati facilmente ossidabili (lipidi polinsaturi delle membrane cellulari)  e possiede bassi livelli di difese antiossidanti, pertanto la sopravvivenza delle cellule nervose è associata ad un delicato equilibrio fra produzione di specie ossidanti e difesa antiossidante. Quando sopraggiunge uno stress ossidativo importante possiamo assistere alla neurodegenerazione tipica di  diverse malattie come l’AIDS, la malattia di Huntington, la malattia di Parkinson, l’Alzheimer e la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Inoltre, oltre ai ROS, il sistema nervoso centrale è a rischio ossidativo da parte dell’ossido nitrico (NO) che nel sistema nervoso svolge il ruolo di neurotrasmettitore, ma a causa della sua natura radicalica può dare origine a specie altamente ossidanti: le specie reattive dell’ossido nitrico (RNS).

Studi più recenti hanno mostrato che le cellule tumorali hanno un livello di ROS più elevato rispetto alle cellule normali, associato alla stimolazione oncogenica, ad alterazioni dell’attività metabolica e a malfunzionamento del mitocondrio. Le conseguenze dell’aumentato stress ossidativo tumorale sono la stimolazione della proliferazione cellulare, l’incremento delle mutazioni e dell’instabilità genetica e l’alterazione della sensibilità cellulare ad agenti anti-tumorali. I mitocondri quindi sono da una parte i maggiori produttori di radicali liberi e dall’altra sono il principale bersaglio dei loro effetti dannosi. I radicali liberi si formano nelle cellule sia in seguito alle loro reazioni metaboliche sia in seguito a stimoli esterni (radiazioni ionizzanti, elevata tensione di ossigeno, sostanze chimiche, farmaci, fumo, stress di vario genere). La maggior parte delle patologie e l’invecchiamento degli esseri viventi quindi sono causati da processi chimici ossidativi, dovuti ad una eccessiva produzione di radicali liberi.

 In condizioni normali il potenziale tossico dei radicali liberi è fortunatamente neutralizzato da un complesso sistema di fattori antiossidanti che rappresenta il meccanismo fisiologico di difesa: il rapporto tra fattori ossidanti e difese antiossidanti rappresenta il cosiddetto “bilancio ossidativo”. Lo stress ossidativo è quindi l’espressione di un danno che si verifica quando i fattori pro-ossidanti (farmaci, sostanze tossiche, radiazioni, stati infiammatori, attività fisica esacerbata, etc.) superano le difese antiossidanti endogene (enzimi come la SOD, il coenzima Q10, la catalasi, la perossidasi, etc.) ed esogene (antiossidanti presenti negli alimenti). Si può incorrere in stress ossidativo sia in condizioni normali di salute sia negli stati patologici. Nell’ambito dei danni cellulari causati dalle specie reattive dell’ossigeno, quello al DNA è potenzialmente il più pericoloso poiché tali alterazioni sono spesso associate a mutazioni genetiche ed allo sviluppo di cancro. E’ emerso inoltre un legame sempre più evidente tra alterazioni al DNA ROS-mediate ed il processo di invecchiamento, la patogenesi del diabete mellito e di alcune malattie a carico del fegato e ad eziologia infiammatoria. Anche le proteine sono un bersaglio per i radicali liberi, i cui danni possono essere distinti in reversibili ed irreversibili. L’ossidazione delle proteine sembra essere inoltre responsabile, almeno in parte, di patologie quali l’aterosclerosi, il danno da ischemia-riperfusione e l’invecchiamento. I lipidi sono importanti per la loro presenza nelle membrane che circondano ogni cellula. L’azione ossidativa a carico dei lipidi procede con un meccanismo radicalico a catena definito lipoperossidazione. I principali bersagli di questo fenomeno sono gli acidi grassi poliinsaturi, che sono presenti in elevate concentrazioni nei fosfolipidi delle membrane cellulari.Gli organismi hanno evoluto un sistema di difesa antiossidante costituito sia da componenti enzimatiche sia da molecole non enzimatiche. Gli antiossidanti sono elementi indispensabili per la protezione delle molecole e dei sistemi biologici dall’insulto derivante dalle specie reattive dell’ossigeno (ROS). Sono infatti in grado di inibire o ritardare l’ossidazione del substrato, fornendo ai radicali gli elettroni di cui sono privi.La difesa antiossidante enzimatica è composta da proteine in grado di rimuovere con un’elevata efficienza catalitica i ROS: la superossido dismutasi (SOD), la catalasi (CAT) e la glutatione perossidasi (GPx). Gli antiossidanti “non enzimatici” comprendono varie molecole a basso peso molecolare (“scavenger“) come ascorbato ( Vit C), vitamina E, carotenoidi, glutatione ridotto (GSH) e metallotioneina (MT).I principali sistemi antiossidanti non enzimatici sono costituiti dalla vitamina C, dalla vitamina E e dal glutatione. La vitamina C (acido ascorbico) agisce da antiossidante, esercitando un’azione protettiva nei confronti del radicale superossido, dell’idrossi radicale, dell’ossigeno singoletto e del perossi radicale. La vitamina E è costituita da un complesso di tocoferoli e tocotrienoli (α-, β-, γ- e δ-tocoferolo e α-, β-, γ- e δ-tocotrienolo). In natura la forma più abbondante e di maggiore attività è chiamata α-tocoferolo. Si tratta di un potente antiossidante biologico legato alla membrana cellulare la cui principale funzione è quella di protezione nei confronti del processo di perossidazione lipidica.

Questa breve panoramica sul mondo dei radicali liberi, ci fa capire come sempre che ogni reazione che avviene nel nostro corpo avviene non per distruggerci ma perché ha un ruolo fisiologico ben documentato. Siamo noi con il nostro stile di vita ad esasperare questi meccanismi che il più delle volte ci si ritorcono contro.

Donne, ormoni ed esercizio fisico: quando il ciclo non è più regolare.

Nell’ambito sportivo una delle più lunghe diatribe riguarda il modo di allenarsi di uomini e donne. Alcuni sostengono che si debbano allenare allo stesso modo, altri sottolineano la necessità di differenziare il workout. Sebbene io abbia una mia personalissima idea non è e non sarà questo l’articolo giusto per parlarne.

Lo scopo di questo scritto è visualizzare quali modificazioni ormonali porta l’allenamento nel genere femminile e perchè questo può essere correlato ad alterazioni del ciclo mestruale.

Iniziamo parlando di prolattina PRL, ormone follicolo stimolante FSH e ormone luteinizzante LH ovvero gli ormoni prodotti dall’ipofisi anteriore.

La prolattina ha la funzione principale di iniziare e poi mantenere la secrezione di latte nelle ghiandole mammarie.

L’ormone follicolo-stimolante favorisce la maturazione dei follicoli ovarici e stimola la produzione  di estrogeni da parte dell’ovaio.

L’ormone luteinizzante coadiuva l’FSH nell’indurre la produzione di estrogeni da parte dell’ovaio e nell’indurre la rottura del follicolo per permettere all’uovo di migrare nelle tube di Falloppio per essere poi fertilizzato.

Queste sono a grandi linee le azioni principali che svolgono questi 3 ormoni. Bene, ma come si comportano durante l’esercizio fisico, e perchè possono essere responsabili delle alterazioni del ciclo mestruale nella donna?

Per ciò che riguarda la Prolattina diciamo che i dati presenti in letteratura riuardo al suo funzionamento in allenamenti di lunga durata sono pochi. Sembra che i livelli basali nei corridori siano piu bassi rispetto ai sedentari. I livelli di PRL aumentano in risposta a carichi di intensità elevata e si riportano ai livelli basali nell’arco di 45 minuti durante il recupero. L’azione della prolattina inibisce la funzione ovarica, per questo è possibile che tra le cause delle irregolarità mestruali ( molto più nelle donne giovani) ci sia proprio il continuo aumento  della prolattina in risposta ai carichi di lavoro. La produzione di questo ormone aumenta comunque sia durante il digiuno sia con una dieta ricca in grassi e nelle donne che corrono senza indossare un reggiseno.

Per ciò che riguarda FSH e LH e il loro funzionamento durante l’esercizio i dati che abbiamo sono  non concordi e difficili da interpretare, questo perchè la produzione di LH a desempio è di tipo pulsatile quindi la cinetica del suo rilascio è difficile da correlare con l’attività sportiva. Diciamo che generalmente la produzione di LH aumenta già prima dell’esercizio per raggiungere il picco durante il recupero. In ogni caso nelle donne che praticano allenamenti da anni, i livelli di FSH e LH sono alterati nel corso del ciclo e queste modificazioni possono essere il motivo delle alterazioni evidenti del mestruo. I lvelli di FSH ad esempio diminuiscono in seguito ad allenamenti pesanti e ripetuti, il ciclo può presentarsi breve e anovulatorio mentre le concetrazioni di LH e di progesterone sono elevate nella fase follicolare del ciclo. Oltre all’attività fisica ricordiamo come altri fattori contribuiscono ad alterare la funzione sessuale. Tra questi l’assetto metabolico, la perdita di massa corporea,le abitudini alimentari, la variazione del rapporto tra massa magra e grassa , e ultimo ma non ultimo lo stress psicofisico.

In conclusione il consiglio è quello di tarare l’allenamento sulle vostre reali capacità, nel rispetto del vostro organismo e tenendo conto della complessità ormonale che vi caratterizza.

Di più non è meglio, è semplicemente di più.